a proposito di scrittura
Giovanni Cavalleri e Zeno Toppan si occupano di letteratura, scrittura ed editoria. Dirigono Quanto, una rivista di letteratura speculativa, e fanno parte di Utopia, una giovane casa editrice dal nome emblematico.
Ho voluto coinvolgerli in questa rubrica perché ero desideroso di conoscere il loro pensiero riguardo alla scrittura ed alle molteplici forme in cui essa si manifesta.
Giovanni e Zeno non hanno ancora trenta anni e sono i più giovani tra le persone che ho intervistato sino ad ora.
Dialogare mi ha fatto riflettere sui tanti giovani talenti che, nonostante le difficoltà, rimangono in Italia. Costoro sono professionisti disposti ad investire tempo e risorse in progetti di valore.
Spesso ci limitiamo a rallegrarci del fatto che non siano fuggiti all’estero. In realtà dovremmo fare di più: coltivare e far crescere questa voglia di fare cultura e impresa.
In un mondo sempre digitale, c’è ancora spazio per i libri stampati?
«Finché l’uomo vorrà possedere, l’oggetto materiale sarà sempre un feticcio che soddisferà i sensi del tatto, dell’olfatto e della vista. I libri stampati non sono più l’unico mezzo attraverso cui si può fruire la lettura, ma sono ancora dei begli oggetti, affascinanti e misteriosi. Se ben progettati stanno bene in libreria, in verticale e in orizzontale. La carta stampata non si estinguerà come si è estinta l’età della pietra, ma un giorno il formato digitale sarà pervasivo e a quel punto i libri diventeranno oggetti di lusso, da collezione. Si tornerà magari a un vero e proprio artigianato del libro. Su una cosa però siamo d’accordo: i libri brutti, mal fatti, quelli sono destinati all’oblio.»
In un mondo sempre più veloce, come si può conciliare il tempo lento della lettura?
«Sempre più persone sono alla ricerca di un “tempo lento”. Ne sono un esempio l’infinito aumentare di persone che praticano lo yoga o altre forme di meditazione. La lettura non è poi diversa da queste forme di ricerca mistica. Bisogna tenere il corpo immobile ed esplorare mondi letterari con l’immaginazione, la pratica di scorrere lo sguardo su simboli se praticata nella giusta maniera diventa un vero e proprio esercizio di auto-ipnosi che ci conduce a vivere vite e storie che non sono le nostre. Il “tempo lento” è il “tempo vero”, quello che trascende il “dover fare qualcosa” e acquista valore perché è un tempo nostro, di ricerca personale: uno stand-by necessario alla frenesia del dover fare.»
Spesso guardare il mondo con altri occhi aiuta a vedere soluzioni inaspettate, spesso sono le persone con cui ci confrontiamo ad offrirci una diverso filtro visivo. Esiste un luogo reale o immaginario che vi ha particolarmente ispirato?
«Siamo stati sedotti dai luoghi ossimorici che mettono in contrasto la natura primordiale alla tecnologia più o meno sofisticata. Pensiamo al sud est asiatico dove i treni scivolano nelle foreste accarezzati da rami e liane secolari e alle città di grattacieli ai piedi di giungle che si fondono, nelle periferie, ai cavi plastificati dell’elettricità. Anche lo spazio è affascinante, l’idea che da qualche parte, nell’universo, esistano colori che non conosciamo.»
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