Sì, puntiamo alla sostenibilità
Quali sono le best practice per valorizzare il Patrimonio culturale locale? Esiste un metodo per valorizzare al meglio un Bene?
Domande con un’infinità di risposte, soprattutto dipende quali sono i parametri di giudizio e gli obiettivi che ci si è prefissati.
In questa pagina voglio condividere alcune riflessioni che possono essere di aiuto. Considerazioni emerse durante le attività di coinvolgimento di alcune comunità nella provincia di Bergamo, attorno al proprio patrimonio storico e paesaggistico. Operazioni che hanno dato vita ad una sorta di incubatore culturale condotto in collaborazione con l’associazione inChiostro. itinerari e incontri d’arte.
Al giorno d’oggi parlando di Beni culturali o di Patrimonio storico-artistico ci si sente in dovere di chiamare in causa la “valorizzazione”. Ancora con maggiore frequenza di quanto si facesse anni fa con la sua sorella “tutela”, per esempio.
Talvolta il discorso attorno alla fantomatica valorizzazione si fa talmente pressante – o quantomeno ideologico – da far perdere di vista il Patrimonio e tutto quanto vi sta attorno. E questo aspetto non è cosa di poco conto!
In anni recenti, la tematica della condivisione e della sostenibilità è stata posta a più livelli. Basti pensare agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015-2030 (Sustainable Development Goals) individuati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. E meglio articolati nelle Linee guida per il coinvolgimento dei cittadini nei percorsi di valorizzazione dei beni appartenenti al patrimonio storico culturale (Guidelines for the citizens involvement in historical sites) redatte nell’ambito del progetto Forget heritage, in cui si sono confrontate best practice di valorizzazione, metodologie e casi studio.
Un patrimonio capillare
Torniamo a noi e guardiamoci attorno.
In Italia il patrimonio culturale è diffuso – o forse sarebbe meglio dire disseminato – in ogni angolo del Paese. In luoghi abitati e in località ormai abbandonate, nei borghi e nelle campagne, in mare e sulle vette dei monti. Ovunque ci si giri si trovano tracce del nostro passato e della nostra cultura. Ecco, in una situazione di questo tipo, il contesto ambientale e umano dovrebbe rivestire un ruolo determinante nelle successive azioni di valorizzazione. Siamo sicuri che questo accada sempre?
Solo per avere un’idea di ciò che ci circonda e senza doverci districare tra una mole importante di dati, proviamo a considerare alcuni indicatori.
Indicatori che non hanno alcuna pretesa di scientificità (oltre ad essere portatori di interessi particolari), ma che aiutano a rendere l’idea della costante presenza dei Beni Culturali e paesaggistici presenti sul nostro territorio.
Cito, tra gli altri, le 241 Bandiere arancioni del Touring Club Italiano, oppure i 271 Borghi più Belli d’Italia, il movimento Città Slow che conta 44 centri, infine, i 55 siti UNESCO. Dati più oggettivi sono quelli forniti dall’ISTAT: i dati più recenti descrivono la presenza di ben 4976 Istituzioni museali o similari distribuite su 7904 comuni italiani. Luoghi, questi ultimi, che già possiedono una strutturazione e una qualche forma di valorizzazione.
Tutti questi numeri proiettati su tutto il territorio nazionale dipingono un Patrimonio culturale di particolare ricchezza e elevata distribuzione geografica.
Per tornare al punto, confermiamo quanto è evidente: ci troviamo immersi nel Patrimonio Culturale. La bellezza e le testimonianze storiche non sono eccezionalità ma costituiscono una vera e propria condizione di normalità.
Di conseguenza ,un progetto ed un processo di valorizzazione non può prescindere da questa situazione. Non rimane altro che abbandonare l’idea dell’eccezionalità per calarci completamente nel luogo e nel suo genius loci. In altre parole, quindi, diventa un lavoro di partecipazione e coinvolgimento della cittadinanza e del suo tessuto sociale.
Valorizziamo! Sì, ma i beni o le persone?
A questo punto ci dovremmo chiedere se la valorizzazione del patrimonio non sia altro che un’occasione per una valorizzazione sociale, di tutta la comunità al di là del bene fisico.
Certo, i rapporti nella realtà sono sempre complessi ed articolati. E’ difficile, se non impossibile, distinguere e separare le due componenti ed i rispettivi processi: l’agire per il manufatto e l’agire per la comunità.
Tuttavia in queste righe mi piacerebbe ribaltare il punto di vista, per domandarci se non convenga spostare l’obiettivo proprio sulle persone.
In realtà immaginiamo un circuito virtuoso per cui operando una valorizzazione sociale si ottiene un miglioramento del patrimonio stesso. Ritengo, quindi, che un modello di questo tipo sia alla base di una best practice.
Il capitale umano
Do per scontato che la prima operazione sia la stesura di un preliminare progetto di valorizzazione e si siano già individuate le principali fonti di finanziamento, sarebbe già un ottimo punto di partenza. Ora è bene fare un ulteriore passo avanti, infatti, la chiave per la buona riuscita e la sostenibilità del progetto è racchiusa nel tessuto sociale.
E’ il capitale umano coinvolto – o per meglio dire “investito” continuando la metafora economica – che funge da attivatore del progetto nel lungo periodo.
Continuo con il ribaltamento del punto di vista. In altri termini, trasformo l’occasione di valorizzazione di un bene fisico per stimolare il tessuto sociale, alimentiamo la “biodiversità” umana insita nel luogo con la linfa del progetto.
Spostiamo, a questo punto, il nostro interesse non tanto sul bene da promuovere, ma quanto sul capitale umano che vogliamo coinvolgere nel processo. Più il substrato sociale sarà arricchito, tanto più ne trarrà giovamento il progetto in termini di contenuti e di solidità.
Importare conoscenza
Tra le operazioni di coinvolgimento sociale che si possono attuare, a mio avviso, la prima e potente azione da compiere consiste nel promuovere la conoscenza.
In particolare, sorprenderà quanto sia rigenerante l’atto di coltivare la conoscenza del luogo e dei beni presso la cittadinanza. Infatti, più saremo accurati e attenti nella trasmissione della conoscenza del bene, migliore sarà la risposta sociale.
Mi spiego meglio, la conoscenza del proprio patrimonio culturale non fa altro che rafforzare l’identità collettiva della comunità: le persone riconoscono i valori che li accomunano e le proprie radici culturali. Come risultato di questo si avrà un più alto senso civico e di conseguenza un comportamento più rispettoso nei confronti del bene comune. In altre parole maggiore tutela verso i Beni Culturali locali e maggiore desiderio di condivisione del proprio Patrimonio.
Va da sé che ogni bene ed ogni luogo richiedono uno studio specifico, ma non vorrei occuparmene in questo articolo.
Professionalità e progettualità
Ora è il caso di tornare con i piedi per terra. Dopo aver colto le ideali qualità del capitale umano coinvolto nella sua accezione più alta, occorre lavorare per rendere efficaci tutte le sollecitazioni fornite.
Anche in questa fase, ribalto di nuovo il punto di vista. In che modo posso impiegare il processo di valorizzazione del bene per una valorizzazione sociale?
Posso strutturare la comunità in forme associative utili alla tutela e della cura del patrimonio ed al contempo fare si che esse siano generative per sé stesse?
Penso all’idea di dare vita ad una delle molteplici forme aggregative del Terzo Settore. In questo scenario, infatti, le organizzazioni non profit rivestono un ruolo prezioso grazie alle loro caratteristiche e modelli di funzionamento.
Il panorama del Terzo Settore è ricco, dinamico e soprattutto flessibile. Il non profit interviene laddove l’istituzione pubblica è carente ed allo stesso tempo l’operatore economica non ha interesse ad agire.
Ma soprattutto, il Terzo Settore è un importante culla di imprenditorialità e fucina per sperimentazioni culturali altrove impossibili.
Da uno studio del 2018, in merito all’attività di incubatori d’impresa, condotto dal team di ricerca Social Innovation Monitor (Sim) del Politecnico di Torino in collaborazione con altri soggetti, emerge che oltre la metà ha coinvolto organizzazioni ad impatto sociale. In particolare il settore più rappresentativo è legato alla cultura, arti e artigianato (20%), seguito da salute, benessere (18%) e protezione ambientale (14%).
Oltre alla prospettiva economica, la valorizzazione della componente sociale porta inevitabilmente ad una maggiore coesione, cooperazione, solidarietà e attivismo all’interno della comunità stessa.
Buone pratiche
In conclusione, Cerchiamo di costruire una rete solida nella cittadinanza e con gli stakeholder del progetto.
Lavoriamo sulla conoscenza, sulla formazione, pianifichiamo strategie comuni e accompagnamo le persone verso forme di maggiore professionalità; tutto questo consentirà di dar vita ad organizzazioni con un elevato potenziale di impatto sociale e soprattutto culturale, per fare la differenza nella valorizzazione del Bene.
Partendo dal bene fisico abbiamo dato vita ad un processo di effettiva valorizzazione sociale e culturale della comunità.
Come ho scritto in apertura, queste ed altre considerazioni sono state elaborate, sperimentate e confermate in occasione di progetti di coinvolgimento delle comunità attraverso il loro patrimonio storico-artistico e paesaggistico.
Un processo che vale la pena applicare sempre più spesso per conseguire quel miglioramento sostenibile di una società.
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