Fallo in maniera professionale
Voglio condividere alcune riflessioni spicciole sul fundraising. Utili per piccole e piccolissime organizzazioni in cerca di risposte, Buone per quelle medie in cerca di conferme, ma valide per tutti: nel fundraising non c’è spazio per l’improvvisazione!
Infatti, come in tutte le attività di una certa complessità e finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi, è sempre opportuno agire con ponderatezza. Per di più se ad aiutarvi nell’impostare un giusto piano di azione sarà un professionista sarà ancora meglio.
Alla luce della rivoluzione digitale che stiamo attraversando, Diventa ancora più importante essere pronti ed in grado di cogliere le opportunità messe a disposizione dal digitale. Se quest’ultimo aspetto vi coinvolge particolarmente, scorrete direttamente sino alla fine di questo articolo.
Torniamo al punto. Immaginate di voler migliorare le prestazioni della vostra automobile: vi affidereste al vostro migliore amico che nella vita si occupa di giardinaggio? Sicuramente sarà la persona giusta per trascorrere del tempo in compagnia, ma probabilmente non altrettanto giusta per mettere mano alla vostra automobile.
Allo stesso modo, dovreste porvi la stessa domanda di fronte alla necessità di avviare un piano di fundraising per la vostra organizzazione. Domandarsi a chi affidarsi in una strategia di fundraising è già una mossa lungimirante.
«Il fundraising non è un modo organizzato, efficiente e trendy di gestire la carità. Il fundraising è la nobile arte di insegnare alle persone la gioia di donare.»
Henry Rosso
Ma il fundraising cos’è?
Prima di ogni altro aspetto, andiamo dritti alla radice del fundraising.
Qual è il significato del termine? Quali sono i valori coinvolti? A chi si rivolge?
Letteralmente parola inglese fundraising si compone di due termini: fund e raising. Il primo corrisponde all’italiano “fondo” e può alludere a fondi finanziari ed in generale ad una qualsiasi risorsa materiale ed immateriale. Il secondo termine può essere tradotto con il corrispondente italiano di “raccogliere”, ma anche con il verbo “incrementare”.
Un’immediata traduzione sarà “raccolta fondi”, tuttavia la locuzione più appropriata e stimolante è “incremento delle risorse”. Sono d’accordo: suona male, ma aiuta a rendere l’idea di ciò che deve fare un fundraiser.
In altre parole, un buon fundraiser parte dalle risorse proprie di ciascuna organizzazione per accrescerne la quantità e la qualità. E non si tratta solo di risorse finanziarie, ma anche umane, relazioni interpersonali, beni materiali e immateriali, e molto altro. Tutto dipende da quali obiettivi si pone l’organizzazione stessa e a quali necessità deve rispondere.
Le persone: una risorsa preziosa
Una delle più importanti risorse di un’organizzazione – se non la più importante – è il capitale umano. Non è altro che l’insieme di relazioni e condivisioni tra tutte le persone che in una maniera o nell’altra orbitano attorno all’organizzazione. Che si tratti di volontari, beneficiari, stakeholder o donatori ciascuno costituisce un elemento di ricchezza dell’organizzazione e di potenziale crescita.
Per questa ragione appare evidente che il fundraising deve dedicare energie importanti alla valorizzazione e coltivazione di questo capitale di relazioni umane, oltre alla mera raccolta di donazioni finanziarie.
A tal fine occorrono stakeholder che condividano I valori e la mission dell’organizzazione. Solo così saranno in grado di creare relazioni umane e professionali stabili con professionisti, imprese ed in generale con i potenziali grandi e piccoli donatori che possono concorrere alla riuscita della Buona Causa per la quale sono stati coinvolti.
Economia del dono
Se il nucleo dell’azione di fundraising risiede nelle relazioni umane e nel coinvolgimento delle persone nella Buona Causa dell’organizzazione, allora ill valore e la qualità della Buona Causa non sono elementi di poco conto. E’ proprio questo che muove le persone alla donazione, sia sotto forma di denaro che di tempo, esperienza e lavoro volontario.
L’atto di donare è una forma di liberazione dalle costrizioni economiche del mero scambio, il quale rappresenta il modello economico alla base delle nostre scelte ed azioni. La donazione, quindi, offre alla persona la possibilità di uscire da questo schema per contribuire ad una Buona Causa, direttamente offrendo il proprio tempo e professionalità, oppure indirettamente contribuendo economicamente. Il dono diventa l’elemento prevalente rispetto al modello dello scambio.
Attenzione: ho scritto prevalente e questo non vuol dire che si debba escludere a priori forme di scambio se finalizzate al finanziamento della Buona Causa.
(Se volete approfondire il discorso, sappiate che esistono testi ed autori molto più autorevoli di me che hanno affrontato il tema da un punto di vista teorico, ma anche in chiave operativa. Scrivetemi vi posso dare interessanti suggerimenti di lettura).
Fallo bene! Fallo in maniera professionale
Avrete capito che il fundraising è una faccenda complessa che tocca valori e risorse importanti di un’organizzazione.
Inoltre, suppongo che avrete avuto già molte occasioni di raccolta fondi in passato e continuate ad organizzarne. Di conseguenza sapete già quale impegno e quanto lavoro questo comporti!
Ma questa attività, talvolta estemporanea, è solo una parte di una strategia organica di fundraising. Ques’ultima, infatti, deve essere intesa in maniera più ampia e articolata di quanto non si faccia, solo in questo modo potrà permettervi di crescere e migliorare.
Il fundraising deve essere parte della strategia di un’organizzazione, non solo un “dipartimento” destinato alla raccolta fondi, ma soprattutto deve essere lo strumento di miglioramento. Come è possibile?
Immaginate il fundraising come un costante processo di analisi, valutazione e pianificazione della propria organizzazione. Uno strumento che scandaglia inesorabilmente la vostra mission, la reputazione, i progetti, i piani di comunicazione, i bilanci, i report e, ovviamente, i rapporti con i donatori. Per poi fornirvi le indicazioni utili per migliorare e coordinare ogni processo interno.
Se volete aprire la vostra organizzazione al mondo, non vorrete di certo che qualcosa risulti fuori posto e incoerente con la mission che vi siete dati. Se il fine ultimo è coinvolgere il vostro donatore dovrete raccontarvi con sincerità e trasparenza, oltre che con efficacia.
Un piano di fundraising, le sue azioni ed i risultati attesi necessitano di tempo. Non dovete aspettarvi effetti immediati nel breve termine, ma un progressivo e costante lavoro di costruzione di nuovi rapporti con i donatori.
In altre parole, occorre mirare alla stabilità e alla costanza delle donazioni, piuttosto che ad un repentino incremento delle entrate.
Il digitale. Futuro…
Ma chi è questo fantomatico donatore?
Tra tutti i profili possibili mi preme portare l’attenzione a quello che viene tratteggiato nella ricerca Donare 3.0 condotta da Doxa con PayPal Italia e Rete del Dono (ora giunto alla quinta edizione): il Donatore 3.0.
Ci troviamo di fronte donatori che abitano sempre più intensamente la dimensione digitale della quotidianità e vivono costantemente connessi per ragioni di lavoro, famiglia, svago e anche shopping. In questo scenario la donazione avviene soprattutto attraverso i dispositivi informatici, lo smartphone prima fra tutti.
Riprendendo i dati emersi da questa ricerca, emerge che l’ 81% degli internauti ha effettuato donazioni nel corso del 2018. La donazione avviene prevalentemente tramite PC (60%), tuttavia cresce l’uso dello smartphone (24%).Le donazioni online si posizionano al secondo posto, dopo l’uso del contante.
La generosità degli internauti è rivoltà principalmente alla salute e alla ricerca (58%), all’assistenza sociale (28%), alle emergenze ambientali, territoriali e alla Protezione Civile (25%), alla tutela dell’ambiente e degli animali (25%) e al sostegno dei servizi per la disabilità (24%).
C’è un aspetto importante dell’atteggiamento del Donatore 3.0. E’ più attento alla rendicontazione ed alla trasparenza: il 66% afferma di non donare a enti che non consentono di verificare come vengano utilizzate le donazioni ed i risultati raggiunti.
Le parole di Valeria Vitali – fondatrice di Rete del Dono – a commento dei dati della ricerca sono quanto mai esplicite.
«il 22% sente la necessità di ricevere comunicazioni più convincenti. Questo dimostra che c’è spazio per lavorare in un’ottica di “donor journey”, ovvero di un percorso di spiegazione della donazione. In questo modo è possibile rafforzare la relazione con il donatore. D’altronde chi dona è interessato e vuole essere coinvolto in prima persona»
Valeria Vitali fondatrice di Rete del Dono
… o presente?
Ora che siamo stati travolti dalla Pandemia e ci siamo buttati totalmente nel digitale, quale sarà il futuro? Sicuramente non potremo tornare indietro.
Lavoriamo e lavorate per migliorare la vostra organizzazione, per accrescerne la reputazione e, soprattutto, per costruire buone relazioni con i vostri donatori.
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